Il Monachesimo e i Cistercensi

monachesimoIl Monachesimo

Il monachesimo interessò il cristianesimo sin dalle sue origini. Durante i primi secoli dell’era cristiana questo stile di vita era praticato da pochi individui, divenne un fenomeno importante a partire dal IV secolo. Infatti, Costantino, divenuto unico imperatore romano nel 324, pose fine alle feroci persecuzioni contro i cristiani, si convertì e diede il riconoscimento ufficiale al cristianesimo. Da quel momento il cristianesimo non soltanto era tollerato, ma era colmato di privilegi; il popolo si convertiva in massa, spesso superficialmente, i potenti si fecero cristiani a imitazione dell’imperatore più che per convinzione personale; molti ecclesiastici fecero carriera, interessandosi più del potere politico che di Dio. All’epoca delle persecuzioni il martirio si presentava come la grazia suprema. Da Costantino in poi ciò non era più possibile. In questo contesto la “fuga dal mondo” appare come la condizione migliore per accedere alla vita perfetta. Così San Girolamo assimila al martirio di sangue il “martirio quotidiano” di una vita di rinuncia e di mortificazione per amore di Dio. Per fuggire l’avvilimento spirituale di un ambiente di tiepidezza molti uomini hanno ricercato, per amore di Cristo, la bruciante solitudine3. La vita solitaria, il digiuno, la meditazione, la preghiera e l’imitazione delle virtù di Cristo conducono al distacco dal peccato ed alla perfezione interiore. Altro elemento fondamentale del monachesimo fu l’esercizio del silenzio. Soprattutto con il silenzio si può sentire Dio. A tal proposito si racconta che un giorno ad un monaco fu chiesto di dire qualcosa di edificante ad un pellegrino di rango. “Se il pellegrino non è stato edificato dal mio silenzio, tanto meno lo sarà dalle mie parole”, fu la sua risposta. Questi asceti furono chiamati monaci (dal greco mònos, solo), anacoreti (dal greco anachorèin, ritirarsi), eremiti (dal greco èremos, deserto). Il rappresentante più noto del monachesimo delle origini, a carattere essenzialmente individuale, fu senz’altro Sant’Antonio Abate, vissuto tra il III ed il IV secolo, e al quale la tradizione ha conferito l’appellativo di “padre dei monaci”. Contemporaneamente al monachesimo eremitico, nacque anche il monachesimo cenobitico (dal greco koinòs bìos = vita comune) . Il monachesimo cenobitico fu qualcosa di completamente diverso da quello eremitico quanto a struttura e ad organizzazione. Gli eremiti vivevano nella maggior parte dei casi in solitudine, talvolta però succedeva che qualche eremita, in odore di santità, veniva raggiunto da altri eremiti con i quali condivideva alcuni momenti del suo tempo. Queste comunità di eremiti erano disorganizzate e basate sullo spontaneismo. Al contrario, il monachesimo cenobitico ebbe fin dalle origini una propria struttura accuratamente studiata. I monaci conducevano vita comune ispirandosi ad una “regola” che stabiliva le norme per la preghiera, la penitenza, la disciplina, l’abito, il lavoro. Alla castità e alla povertà, che facevano parte del patrimonio dell’esperienza eremitica, i cenobiti aggiunsero anche l’obbedienza come condizione della stessa vita comune. L’ avvento del monachesimo cenobitico è legato al nome di san Pacomio, mentre il suo progresso e la sua affermazione sono legati a quello di san Basilio. Soprattutto il monachesimo cenobitico ben presto giunse anche in Europa. In Italia il personaggio più importante del cenobitismo fu San Benedetto da Norcia. Egli nacque nel piccolo borgo umbro tra il 480 e il 490: ancor giovane si ritirò in una grotta vicino a Subiaco, nel Lazio, ove visse per tre anni in completa solitudine. Successivamente, visto che erano numerose le persone che, attratte dal suo stile di vita, gli chiedevano di vivere con lui, decise di tentare un’ esperienza di vita monastica in comune e organizzata. Tale sua idea trovò realizzazione nel monastero di Montecassino, da lui fondato nel 529. Il primo problema affrontato da San Benedetto fu quello di stabilire una serie di norme a cui tutti i monaci dovevano attenersi: nacque così la “Regola” di San Benedetto. Questa Regola, che la tradizione ha sintetizzato nel motto “Ora et labora” (Prega e lavora), si basava sui principi evangelici della carità e della fraternità. San Benedetto stabilì, inoltre, che i monaci dovevano vivere in comune una medesima forma di vita sotto un unico superiore, l’abate, che rappresentava il Cristo4 . San Benedetto non tendeva a formare asceti, che nella solitudine ricercavano e trovavano la perfezione, bensì egli mirava a creare una comunità regolata da una disciplina monastica attuabile anche da persone comuni. L’abbazia benedettina diventa un modello di società ideale in mezzo al turbamento dell’alto medioevo e contemporaneamente la culla di tante oasi di carità e di pace in Europa. Su tale modello furono fondati molti altri monasteri tra cui Camaldoli e Vallombrosa in Italia, Fulda in Germania, San Gallo in Svizzera, Cluny in Francia.Una menzione particolare merita il monastero di Cluny che fu fondato tra il 909 e il 910 in Francia dal duca di Aquitania e conte di Macon, Guglielmo il Pio. Ispirandosi alla Regola benedettina il monastero di Cluny diede vita ad un nuovo ordine benedettino riformato, che si impone in tutta l’Europa; alla fine del secolo X° si contano 1200 monasteri che si ispirano al monastero cluniacense. Grazie alla spiccata personalità di abati quali Oddone, che guidò l’ordine tra il 927 e il 942, e Maiolo, che ne fu guida tra il 963 e il 994, Cluny divenne punto di riferimento del cristianesimo in occidente6 . Il Cardinale Pier Damiani, che visitò Cluny nel 1063, descrisse con entusiasmo e commozione il monastero e la vita che si svolgeva al suo interno. Dalla sua relazione si legge che il monastero si presentava austero malgrado la grandezza e che i monaci erano sempre dediti alla preghiera, alla meditazione e al lavoro 7. Con il passare del tempo, però, qualcosa cambiò all’interno del monastero; innanzitutto vi penetrarono germi che mal si conciliano con la vita monastica: la ricchezza e le lotte di potere fra i monaci che ambivano a diventare abati. Erano, questi, sintomi inquietanti: Cluny non ebbe più la stabilità di una volta. L’ordine, arricchendosi e sfoggiando un lusso poco conforme alla Regola benedettina a cui si ispirava, perdette poco a poco i caratteri che gli avevano assicurato nella società medioevale un posto particolare. Si comprende, quindi, come le persone stanche della vita nel mondo cercarono rifugio altrove e non più nelle abbazie cluniacensi. Agli inizi del XII° secolo il declino dell’ordine cluniacense coincise con il conseguente proliferare di altri ordini monastici. Il sud dell’Italia fin dalla metà del X secolo divenne un centro propulsivo di spiritualità monastica. Una vera tebaide, affermano gli storici. In questo periodo nacque a Rossano San Nilo che nel 1004 fondò il Monastero di Grottaferrata. Il Santo calabrese diventò punto di riferimento di quanti, staccandosi dal mondo, volevano dedicarsi completamente a Dio. Le comunità fondate da San Nilo contemperavano lo stile di vita cenobitico ed eremitico. I monasteri erano formati da cellette per uno o pochi monaci, i quali sovente si ritiravano a vita completamente solitaria. Ci fu allora anche un rifiorire di ordini religiosi che tentavano di restaurare i canoni propri del monachesimo primitivo. Alcuni di questi nuovi ordini, accanto alla preghiera, alla contemplazione e al lavoro intellettuale, accostarono il lavoro manuale, in particolare il lavoro nei campi, che stanca il corpo e lo mortifica. L’ordine che più di ogni altro ha incarnato questa nuova apertura verso il monachesimo eremitico fu quello dei Certosini di San Brunone di Colonia, canonico di Reims, che fondò numerosi monasteri, chiamati certose, tra cui quella di Serra San Bruno in Calabria, dove il Santo fondatore morì nel 1101.

Cistercensi: la fondazione di Citeaux

Ci furono anche diversi tentativi di ristabilire nella sua integrità la Regola benedettina, alla quale i cluniacensi avevano apportato troppe innovazioni. Il più importante di questi tentativi fu quello che ebbe come iniziatore l’abate Roberto di Molesme. Questi, dopo essere stato abate di Saint Michel de Tonnère, entrò in relazione con un gruppo di eremiti che, edificati dalla sua santità di vita, gli chiesero di diventare la loro guida spirituale. Abbandonata la carica di abate di Saint Michel, si trasferì, quindi, con i suoi discepoli a Molesme, dove fondò un eremo. I primi anni furono duri e difficili, quanto quelli che lo stesso abate Roberto M. Lemonnier, op. cit., 234 ed i suoi seguaci desideravano, poi la gente, conscia dell’estrema povertà in cui vivevano gli eremiti, cominciarono a ricolmarli di doni fino a far diventare Molesme un eremo ricchissimo. L’abate Roberto lo fece osservare ai compagni e fece capire loro che, se intendevano praticare veramente la Regola benedettina, dovevano procurarsi cibo e vestiti col proprio lavoro. Non tutti compresero la lezione e l’abate Roberto lasciò Molesme e si ritirò con altri monaci ad Aux, dove si trovava un’altra comunità eremitica. La partenza dell’abate provocò un terremoto a Molesme. La disciplina andò rilassandosi ed anche le offerte diminuirono. L’abate Roberto fu pregato di ritornare a Molesme. Probabilmente vi fece ritorno nel 1093. Nell’eremo non riuscì più a far rispettare l’antica Regola, così, spinto anche da altri monaci, tra cui Alberico, dopo 5 anni decise di lasciare nuovamente l’eremo di Molesme. I monaci ingordi, consapevoli che la partenza dell’abate Roberto avrebbe nuovamente fermato le donazioni dei fedeli, fecero scoppiare un grande tumulto che sfociò in vero e proprio scontro fisico. Il monaco Alberico fu picchiato e imprigionato. Ma i disordini non servirono a nulla, l’abate Roberto si recò dall’Arcivescovo di Lione per chiedergli ed ottenere l’approvazione a lasciare Molesme. L’abate Roberto ed i monaci che con lui avevano lasciato l’eremo, si misero alla ricerca di un posto dove fondare una nuova abbazia. Lo trovarono non lontano da Digione, in una zona solitaria: Citeaux. L’Exordium parvum ordinis Cisterciensis, che racconta le origini dell’abbazia di Citeaux descrive con grande dovizia di particolari il sito in cui si decise di fondare l’abbazia. “Era un posto desolato che non offriva nessuna risorsa. Il bosco selvaggio ed inaccessibile era dimora di animali selvatici”. Il visconte di Beaume, Rainardo, a cui quel territorio apparteneva, con il consenso del duca di Borgogna, Oddone I°, lo donò volentieri ai monaci. Il 21 marzo 1098, gli sfollati di Molesme vi si stabilirono: l’abbazia di Citeaux era fondata. Dopo appena un anno l’abate Roberto, supplicato dall’arcivescovo di Lione, che per l’occasione aveva convocato anche un concilio ad Anse nel 1099, fece ritorno a Molesme, già alla deriva spirituale. Dopo la partenza di Roberto, fu eletto abate di Citeaux Alberico, uno dei più accaniti sostenitori della rigida osservanza della Regola benedettina. Alberico come prima mossa inviò due monaci a Roma per porre l’abbazia sotto la protezione della Santa Sede. Il papa Pasquale II° con una bolla del 19 ottobre 1100 accondiscese senza esitazione alla richiesta. L’abbazia era definitivamente fondata con l’approvazione papale: l’ordine dei nuovi monaci fu chiamato Cistercense dall’antico nome di Citeaux:, Cistercium.

La regola cistercense

Quando i futuri cistercensi lasciarono Molesme, lo fecero con l’idea di fuggire dal benessere in cui si viveva in quell’eremo. Di conseguenza, la prima caratteristica del nuovo ordine fu la pratica della povertà assoluta. I monaci avevano portato da Molesme il solo breviario, l’occorrente per celebrare la messa ed il minimo indispensabile per la loro sopravvivenza. In un primo tempo l’abate Alberico non scrisse una nuova regola ma si limitò a codificare i comportamenti che, ripetuti nel tempo dai monaci, erano dagli stessi considerati obbligatori; riunì i monaci, come vuole la regola benedettina, ed assieme deliberarono quanto l'”Exordium parvum” ci ha tramandato: “Questo abate ed i suoi confratelli, ricordando le loro promesse, risolvettero quindi all’unanimità di stabilirsi in quel luogo e di osservare la regola di San Benedetto, abbandonando tutto ciò che fosse contrario a questa regola, ossia le tonache, i pellicciotti, le stoffe leggere, i cappucci e le mutande, i pettini e le coltri, le guarnizioni del letto, le varietà nei cibi in refettorio, persino il grasso e tutto ciò che è contrario alla purezza della regola”. Disposero quindi tutto il loro tenore di vita in stretta conformità alla regola, tanto nelle cose ecclesiastiche quanto nelle altre osservanze. Spogliati dell’uomo vecchio, godevano di essersi rivestiti del nuovo. E siccome non leggevano nella regola o nella vita di san Benedetto che questo stesso maestro avesse posseduto chiese ed altari, offerte e sepolture, decime da altri uomini, nè forni, mulini, fondi, contadini, e così pure che le donne potessero entrare nel monastero, nè che egli vi avesse sepolto defunti, eccetto la sorella, ricusarono tutte queste cose dicendo: il beato padre Benedetto, insegnando che il monaco deve rendersi estraneo alle consuetudini secolaresche, rivela chiaramente con ciò che queste cose non devono esistere nelle azioni e neppure nel cuore dei monaci. Questi, fuggendole, devono giustificare l’etimologia del loro nome … “8 . Per vivere pienamente la regola di san Benedetto, i cistercensi procedettero alla riforma degli abiti e dell’alimentazione. L’abito cistercense si comporrà unicamente di una tunica di lana greggia, di colore bianco, e di un cappuccio di uguale stoffa e colore. Il letto sarà un semplice pagliericcio con un cuscino, anch’esso di paglia. Riguardo alle abitudini alimentari i cistercensi furono molto severi: niente carne e grasso, il pasto si comporrà al massimo di due portate, una libbra di pane e un pò di frutta. I monaci stabilirono, in accordo con la regola benedettina, di non avere in beneficio nè chiesa, nè cappella, nè cimitero, nè forno, nè mulino, nè possessi feudali, nè decime. Per questo fondarono i loro monasteri lontano dalle città, in mezzo alle foreste, che essi dissodarono, o in mezzo alle paludi, che essi bonificarono con il lavoro delle proprie mani, altra caratteristica peculiare dell’ordine. Ritornarono alla regola benedettina anche per quel che riguarda la vita spirituale. Epurarono le celebrazioni liturgiche da tutte quelle aggiunte fatte dai monaci cluniacensi, dettero nuovamente importanza alla preghiera individuale e alla meditazione.

San Bernardo

Alberico fu abate di Citeaux sino al 26 gennaio 1108, quando morì. Suo successore fu l’inglese Stefano Harding . Questi fu un continuatore del lavoro intrapreso dal suo predecessore. Nonostante l’alone di santità che circondava i primi abati di Citeaux, il nuovo ordine stentava ad imporsi, i novizi erano pochissimi. La svolta si ebbe nel 1112 quando, accompagnato da una trentina di compagni, entrò nel monastero di Citeaux il giovane Bernardo. “A cominciare da questo giorno Dio benedisse talmente Citeaux che questa vite del Signore portò i suoi frutti ed estese i suoi tralci sino al mare ed anche oltre”. Così diceva Guglielmo di Saint-Thierry, amico e biografo di colui che diventerà il grande santo cistercense. Con l’arrivo del futuro San Bernardo non solo la storia dell’ordine, ma l’intera storia ecclesiastica del secondo quarto del secolo XII° si raccoglierà attorno alla sua prodigiosa personalità. Egli era nato a Fontaine-les-Dijon nel 1090 da una antica e nobile famiglia borgognona. Fin da giovane visse, sia pure senza essere riuscito ad evitare amicizie pericolose, in modo pio. La sua entrata a Citeaux ad appena 22 anni non fu frutto di una folgorazione improvvisa, ma fu il coronamento della sua condotta di vita.Già nel 1113 Citeaux fu invasa da numerosissimi giovani che chiedevano di entrare nel noviziato attratti dalla figura di San Bernardo. L’afflusso fu così grande che l’abate Harding decise di fondare un nuovo monastero ove potessero trovar posto una parte di essi. La prima filiale di Citeaux fu La Ferté (Saone et Loire) la cui chiesa, dedicata alla Madre di Dio come tutte le chiese appartenenti ai monasteri dell’ordine, fu consacrata il 17 maggio 1113. L’anno seguente fu fondata la filiale di Pontigny (Yonne), nel 1115 furono fondate altre due, quella di Clairvaux (Aube) – che San Bernardo direttamente fu incaricato di organizzare e di cui divenne abate a soli 25 anni ed alla quale sarà legato in modo particolare tanto da passare alla storia con il nome di San Bernardo di Chiaravalle – e quella di Morimond. Queste abbazie, hanno tutte un aspetto familiare, perché la spiritualità di San Bernardo ha loro imposto, per così dire, la pianta, l’altezza, il decoro. A ovest sorge la casa riservata ai fratelli conversi, che guarda verso le officine e verso la radura; a sud l’ala riservata ai monaci; a est c’è il giardino, a nord la chiesa e il cimitero. Al centro il chiostro quadrato, quadrato come è immaginata la città di Dio, con i suoi quattro lati che simboleggiano i quattro fiumi del paradiso, i quattro evangelisti, le quattro virtù cardinali. Questo piccolo spazio ad un tempo è protetto dal mondo e dà vita ad un mondo nuovo11. Nel chiostro il monaco passeggia e medita, la processione sfila, l’abate la sera, riunisce i monaci per la lettura e l’istruzione; si tratta di un sermone interamente spirituale, privo di ogni artificio retorico, di ogni orpello, semplice e spoglio come le colonne e i capitelli del chiostro.

La Charta Caritatis

Questo rapido sviluppo dell’ordine pose gravi problemi all’abate Stefano Harding il quale oltre a controllare che la regola non subisse alterazioni nelle nuove abbazie, doveva creare un’organizzazione tale da far rimanere aggregate all’abbazia-madre le abbazie-figlie. Per risolvere tali questioni l’abate Stefano scrisse lo statuto d’unione dell’ordine cistercense: la “Carta caritatis”. Questa Carta, approvata dai suoi confratelli e dal papa Callisto II con una bolla del 23 dicembre 1119 rappresenta la nuova costituzione dell’ordine. Ciò che caratterizzava l’organizzazione stabilita con la Carta Caritatis era il decentramento. La Carta prevedeva che le abbazie-figlie dovevano essere unite a quella madre solo da un vincolo di paterna carità. L’abate di Citeaux, pur restando il padre di tutto l’ordine, non esercita attività diretta se non sulle abbazie-figlie sue. Le elezioni degli abati delle singole abbazie saranno libere e l’abate dell’abbazia madre e quelli delle altre abbazie figlie si limiteranno solo al potere di vigilanza. Le abbazie derivate da una stessa abbazia-madre si assisteranno vicendevolmente. Le abbazie-madri vigileranno sulle abbazie-figlie, viceversa, anche Citeaux sarà soggetta al controllo delle quattro abbazie sue filiali. L’organismo supremo dell’ordine cistercense è il Capitolo generale annuale, che si svolgeva ogni anno a Citeaux e a cui tutti gli abati dei monasteri dovevano partecipare. In quella sede si promulgavano decisioni, si dirimevano liti, si davano le linee guida per il regolare svolgimento della vita nei cenobi dell’ordine. La “Carta caritatis” conteneva anche un’innovazione che interessava la vita della Chiesa nel suo insieme, la fondazione di un monastero non poteva avvenire senza il consenso del vescovo ordinario del luogo . Dopo la redazione del nuovo statuto, l’ordine cistercense ebbe uno sviluppo progressivo; soltanto da Clairvaux – vivente San Bernardo – scaturirono 68 nuove fondazioni.

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