Gli Arbëreshë: un popolo venuto dall’Oriente

                                                                   IL NOME

Lo storico Tolomeo segna sulla carta geografica del suo tempo (130 a. C.) il luogo dove si trova l’odierna Albania e chiama i suoi abitanti Albanoi ed il relativo capoluogo Albanopoli. Questa città si estendeva tra Dibre e Durazzo. Da allora fino al sec. XI questo nome non appare più tra gli scritti che conosciamo. Dal 1043 i cronisti bi­zantini chiamavano l’odierna Albania col nome di Alvanon e gli albanesi Albani – Alba­nitai – Arvanitai. Dopo la morte di Skanderbeg (1468) l’Albania si chiamava Arbër – Arbëri e Arbëreshë gli albanesi insediatisi in Italia ed in Grecia; mentre i nomi Shqip­tar – Shqipëri cominciarono ad usarsi dall’anno 1555: li riporta Gjon Buzuku, che per la prima volta chiama la lingua albanese Shqipe, e continua a chiamare l’Albania Arbër o Shiqipëri.
Dal sec. XVII ai giorni nostri si usano comunemente le parole shqip – shqipe – shqiptar – Shqipëri – Shqipni; mentre gli Albanesi di Grecia e d’Italia continuano a chiamarsi Arbënorë – Arbëreshë. Per questo motivo gli Albanesi della Madrepatria sogliono chia­mare quest’ultimi “Shqiptarë të vjetër”!
Alcuni filologi affermano che la parola “shqip-shqiptar” derivi da “shqipe-shqi­ponjë (aquila)”, essendo l’Albania abitata dalle aquile; perciò – dicono – sulla bandie­ra albanese è raffigurata l’aquila a due teste, quasi che l’Albania si debba difendere dal nord e dal sud (Slavi e Greci). Lo sfondo rosso della Bandiera simboleggia il sangue che gli albanesi hanno sparso per difendersi dai loro secolari nemici.
Si legge ancora in Plutarco che Pirro, re dell’Epiro, veniva chiamato “Aquila” dai suoi soldati.UN PO’ DI STORIAOggi l’Albania confina con la Grecia, con la Jugoslavia e col mare Adriatico. Ha una estensione di 28.738 Kmqe oltre 2.500.000 di abitanti.
Un altro milione e mezzo di Albanesi si trovano in Jugoslavia (Kosova, Metohia, Montenegro, Macedonia), 350.000 in Grecia, oltre 150.000 in Italia, 100.000 in Turchia, oltre 100.000 negli Stati Uniti, 18.000 in Romania, 10.000 in Bulgaria, 15.000 in Egitto, ed oltre 50.000 sono sparsi qua e là nel mondo.
In totale, gli Albanesi nel mondo si aggirano sui cinque milioni.
Ma qual’è la storia dell’Albania e degli Albanesi?
Si sa che l’Albania è stata abitata fin dal paleolitico, come dimostra­no gli scavi archeologici. Ma il primo popolo, noto nella storia, che abbia abitato quel territorio è l’Illirico (1.500 anni a. C.). Gli Illiri inviarono delle colonie in Italia, che presero il nome di Messapi, Japigi, Liburni… Nei balcani, i fratelli degli Illiri si chia­mavano anche: Dalmati, Japodi, Adriani, Partheni, Abreni, Pirusti, Taulanti, Darda­ni, Kandavi, Encheleni, Dasarati, Atantani Amanti, Epiroti, Kaoni, Tesproti, Molossi; e, presso Kruja, abitavano gli Albanoi, da cui il nome di Arbër, Albën, Albania, Alba­nese,
Gli Illiri combatterono contro Filippo Il, re dei Macedoni, e contro suo figlio Alessandro il Grande; combatterono contro i Romani, da cui furono vinti e sottomessi il 6 d. C. Sotto il dominio romano gli Illiri diedero a Roma alcuni Imperatori, come Decio, Claudio II, Aureliano, Diocleziano e Costantino il Grande. Dopo i Romani, in Albania dominarono i Bizantini, poi i Goti, i Serbi, i Bulgari, i Normanni, gli An­gioini, i Veneziani ed infine i Turchi.
Tuttavia nessuno di questi riuscì ad assorbire o a distruggere gli Illiri, ossia gli Albanesi.
Nel sec. XII sorsero i principati albanesi. Quello di Kruja fu uno dei più forti, do­minato dalla famiglia dei Kastriota.
Nel 1272 si formò il Regno d’Albania (Regnum Albaniae) sotto il re Carlo d’An­giò: i principi e i feudatari albanesi si allearono a lui.
Nel sec. XIV molti Albanesi delle montagne passarono in Grecia e si stabilirono principalmente in Morea, Eubea, Tessaglia ed Epiro.
Nello stesso secolo XIV si affacciarono nei Balcani i Turchi Osmanli, e nel 1378 giunsero in Albania. I feudatari albanesi si unirono ai Serbi e combatterono contro i Turchi nella famosa battaglia della Kosova (1389). Ma i Turchi vinsero gli alleati Cristiani (Serbo-Albanesi) e l’Albania cadde sotto il dominio turco.
Il principe di Kruja, Giovanni Kastriota dovette dare in ostaggio i propri figli ai Turchi, e, tra questi, anche Giorgio, che i Turchi allevarono alla corte del Sultano e gli posero il nome di “Iskander bey” (principe Alessandro); da qui l’appellativo SKAN­DERBEG.

SKANDERBEG

Quando Giorgio crebbe tornò in Albania e la liberò dal dominio turco. Radunò attorno a sè i Feudatari Albanesi e combattè assieme a loro per 25 anni contro i Tur­chi, fino alla morte, che lo colse nel 1468.
Skanderbeg era nato a Kruja nel 1404. Pare che sia fuggito dalla Turchia nel 1443; altri storici affermano che Egli sia stato inviato dai Turchi in Albania a governare Kruja sin dal 1438 e nel 1440 era stato innalzato a governatore di Kruja. E certo pe­rò che dal 1443 egli divenne capo di tutta l’Albania, con la collaborazione dei feuda­tari albanesi (Lega di Alessio – 1444) e combattè vittoriosamente contro i Turchi per 25 anni.
Skanderbeg venne una prima volta in Italia nel 1461 per aiutare Ferdinando I d’Aragona, re di Napoli, a cui si erano ribellati i Baroni (fra cui và citato il principe Orsini di Taranto) aiutati da Renato d’Angiò.
Skanderbeg sbarcò a Barletta con circa 4000 soldati di fanteria e cavalleria, e nella battaglia di Orsara (presso Troia di Puglia – 18 agosto 1462) vinse i ribelli, li­berò dall’assedio di Molfetta Ferdinando, restituendogli il trono, e tornò subito in Al­bania, dove i Turchi avevano ripreso le ostilità contro il suo popolo.
Skanderbeg venne altre volte in Italia, per chiedere aiuti al Re di Napoli e al Papa per la lotta contro i Turchi. Morì il 17 gennaio 1468 ad Alessio, di febbre ma­larica. Quando il sultano Maometto II apprese la notizia della sua morte esclamò: Se non fosse vissuto Skanderbeg, io avrei sposato il Bosforo con Venezia, avrei posto il turbante sul capo del Papa ed avrei posto la mezzaluna sulla cupola della Chiesa di S. Pietro a Roma!”
Prima di cadere definitivamente nelle mani dei Turchi, l’Albania resistette, dopo la morte di Skanderbeg, quasi per altri 20 anni.
Da allora, molti albanesi, per salvare la loro Libertà e la loro Fede, si rifugiarono nell’Italia Meridionale, e precisamente nel Regno di Napoli, dove Ferdinando d’Aragona li accolse benevolmente, memore dei benefici ricevuti da Skanderbeg.

INSEDIAMENTI ALBANESI IN ITALIA

Tuttavia gli Albanesi vennero in Italia in varie ondate.

a. La prima era composta di soldati albanesi che, nel 1448, vennero in Calabria ed in Sicilia, sotto il comando di Demetrio Reres e dei suoi due figli Giorgio e Basilio, per domare la ribellione dei Baroni calabro-siciliani contro il loro Re Alfonso I d’Aragona. Domata la rivolta, molti soldati albanesi preferirono stabilirsi in Calabria e Sicilia.
Nella provincia di Catanzaro fondarono e ripopolarono i seguenti paesi: Amato, Andali, Arietta di Petrona, Belvedere di Spinello, Caraffa, Carfizzi, Casabona, Curinga, Gizzeria, Marcedusa, Pallagorio, S. Nicola dell’Alto, Vena di Maida, Zagarise, Zangarona, Zinga.
I soldati che si fermarono in Sicilia fondarono o ripopolarono, nella Provincia di Palermo i seguenti paesi: Palazzo Adriano, Mezzojuso, Contessa Entellina, Piana degli Albanesi, S. Cristina Gela: nella provincia di Catania: Biancavilla, Bronte, S. Mi­chele di Ganzaria; nella provincia di Agrigento: S. Angelo Muxaro. Altri soldati al­banesi si stabilirono a Taormina, dove ancora oggi si ricorda “Il Quartiere degli Al­banesi”. Ma molti soldati fecero ritorno in Patria.
Dopo la morte di Skanderbeg, questi paesi aumentarono di popolazione con la ve­nuta di altri profughi dalla Morea e dall’Albania.

b. La seconda, composta anche questa da soldati, sbarcati in Puglia, nel 1461-62, con Skanderbeg, per aiutare Ferdinando contro i Baroni ribelli, di cui abbiamo già fat­to cenno. Anche in questa occasione, domata la rivolta, molti soldati albanesi rimasero nelle Puglie, fondando o ripopolando, nella provincia di Foggia: Castelluccio dei Sauri, Chieuti, Casalvecchio di Puglia, Casalnuovo Monterotaro, Panni, Monteleone di Puglia, e Faeto; in provincia di Campobasso: Campomarino, Ururi, Portocannone, Montecilfone Santa Croce di Magliano, S. Martino in Pensilis, Sant’Elena Sannita; in provincia diTaranto:Montemesola, Monteiasi, Civitella, Carosino, S. Giorgio Jonico, Belvedere, Monteparano, Mennano, S. Martino, Roccaforzata, Faggiano, San Marzano di S. Giusep­pe, S. Crispieri.
Tutti questi paesi aumentarono di popolazione, dopo la morte di Skanderbeg, con le successive emigrazioni dall’Albania. Di essi oggi soltanto S. Marzano conserva ancora la lingua albanese.

c. La terza Ma il più grande esodo di profughi dall’Albania, in varie ondate ebbe luogo dopo la morte dell’Eroe Nazionale Giorgio Kastriota Skanderbeg ,ossia dal 1468 al 1506, allorchè tutte le città e fortezze d’Albania caddero definitivamente sotto il do­minio turco. Allora molti albanesi, prevedendo l’occupazione totale della Patria e le ven­dette dei Turchi, seguirono l’esempio di quegli albanesi che si erano già stanziati prece­dentemente nell’Italia Meridionale. Partirono dai porti di Ragusa, Scutari e Alessio, im­barcati su navi veneziane, napoletane, albanesi e slave.
A questa terza emigrazione pare si riferisca il famoso frammento di rapsodia:
“Por 300.000 trima / iktin, çaitin detin, / se të mbajin besën” (Trecentomila giovani fuggirono, attraversarono il mare, per salvare la Fede). Anche se la cifra può sem­brare esagerata, fu senz’altro una emigrazione di massa. Il Papa Paolo Il scriveva al­lora al Duca di Borgogna: “Le città d’Albania, che finora avevano resistito al furore dei Turchi, sono ormai cadute in loro potere. Tutti i popoli che abitano le coste dell’A­driatico orientale tremano all’aspetto di questo imminente pericolo! Gli Albanesi in parte sono uccisi dalla spada, altri sono condotti in misera schiavitù…. Dovunque non vedi che terrore, lutto, morte e schiavitù… è lacrimevole contemplare le navi dei profughi che si riparano nei porti d’Italia e quelle povere famiglie ignude che, scacciate dalle loro abitazioni, stanno sedute sui lidi marini e che, stendendo le mani al cielo, fanno risuonare l’aria di lamenti in ignote favelle!”.
Quei profughi sbarcarono in buona parte nei porti della Pianura di Sibari, e inoltrandosi nell’interno, fondarono, nella provincia di Cosenza: S. Giorgio Albanese, Vac­carizzo Albanese, S. Cosmo Albanese, Macchia Albanese, S. Demetrio, Santa Sofia d’Epiro, Spezzano Albanese, Acquaformosa, Lungro, Firmo, S. Basile, Frascineto, Porcile (oggi Eianina), Civita, Plataci, S. Benedetto Ullano, Marri, S. Martino di Finita, S. Giacomo, Cerzeto, Cavalleriz­zo, Mongrassano, Cervicati, Santa Caterina Albanese, Falconara e Serra d’Aiello.
Altri gruppi sì diressero in Sicilia, andando a popolare quei paesi già fondati dai soldati albanesi dei Reres nella prima emigrazione (1448). Altri si diressero nelle Pu­glie e nel Molise, andando a stanziarsi in quei paesi già abitati da albanesi.
È evidente che i profughi di questa emigrazione provenivano da tutte le regioni d’Albania: tesi comprovata dall’onomastica, dalla toponomastica e dalle stesse parlate.

d.   La quarta massiccia emigrazione di profughi albano -greci, provenienti dalla Morea – e precisamente dalle città di Corone, Modone, Nauplia, Patrasso, ebbe luogo nel 1534. La Morea era stata occupata dai Turchi già nel 1460; in seguito fu loro sottratta dai Veneziani, ma nel 1500 i Turchi la ripresero. Nel 1532 l’ammiraglio genovese Andrea Doria, alle dipendenze dell’Imperatore Carlo V, per vendicarsi dei Turchi, che avevano osato attaccare Vienna, dopo aver occupato l’Ungheria, occupò anche la Morea, dove si trovavano molti albanesi, trasferitisi dall’Albania sin dal sec. XII-XIII. Questi si unirono al Doria, giurandogli obbedienza. Ma allorché i Turchi, nel 1534, stavano per rioccupare la Morea, Carlo V li fece evacuare, a bordo di 200 navi, facendo vela, col consenso del Viceré di Napoli Don Pedro de Toledo, verso il Regno delle Due Sicilie.

Molti di questi Albanesi si fermarono a Napoli, altri a Lipari, mentre la maggior parte preferirono stanziarsi nei vari paesi dell’Italia meridionale e insulare già abitati dai loro fratelli, scappati dall’Albania in precedenti emigrazioni. Tracce sicure dei Coronei si trovano non solo nei paesi albanesi di Calabria e Lucania, ma anche in Pu­glia ed in Sicilia. Ne fanno testo l’onomastica di questi paesi e la tradizione orale e scritta pervenuta fino a noi. (Cognomi greci: Chinigò, Marchianò, Stratigò, Papadà, Rodotà, …..; il paese di San Demetrio ricevette l’appellativo di’ “Corone”; Molti no­bili di Calabria e Sicilia conservarono il titolo nobiliare di “Coronei”: Jeno dei Nobi­li Coronei, Rodotà dei nobili Coronei, Camodeca dei Nobili Coronei, ecc…; la famosa canzone patria “O e bukura Moré”; l’espressione popolare “ështe e vjen ka Morea!”; queste sono delle prove).

Furono Coronei anche quegli Albanesi guidati da Lazzaro Mathes, che in que­sta emigrazione fondarono o ripopolarono, in Lucania (Prov. di Potenza) i paesi Ba­rile, Brindisi di Montagna, Maschito, Ginestra, S. Costantino Alb., S. Paolo Alb., S. Giorgio Lucano Mendullo; in provincia di Cosenza: Castroregio e Farneta; ed in pro­vincia di Avellino (Campania): Greci.

e.   La quinta Una quinta emigrazione ebbe luogo nel 1647, sotto il Re di Napoli Filippo IV, composta per la maggior parte da gente di Maina della Morea. Buona par­te di costoro si stabilirono in Barile, come si rileva da un manoscritto rinvenuto in casa del principe Torella di Napoli. Non si ricorda la data, ma probabilmente ai primi del sec. XVII, nella provincia di Piacenza, e precisamente nel paese di Bosco Cusani, a 4 Km. dall’odierno Candelasco, di cui è frazione, si stanziarono degli Albanesi. Nello stesso periodo di tempo altri albanesi si stanziarono nel paese di Bosco Tosca, frazio­ne di Castel S. Giovanni, che enumera 400 abitanti. Ed infine in Pievetta, anch’essa fra­zione di Castel S. Giovanni, che conta oggi 621 abitanti. Ma mentre gli abitanti dei primi due paesetti non hanno un’idea esatta della loro origine, in Pievetta invece si tra­manda il ricordo della loro provenienza dall’Albania. Il direttore della Biblioteca Civica di Piacenza Ettore Nasalli Rocca, nella sua opera L’Albania e i Farnese”, sostiene che gli Albanesi popolarono questi tre paesi in riva al fiume Po, favoriti dalla politica dei Farnese verso i Balcani nel sec. XVII. Della medesima opinione sono Aldo Boreri nel­la sua opera “Gli Albanesi nel Piacentino” in Strenna 1940; ed Ettore della Giovanna in “Gli Albanesi nel Piacentino” in Bollettino storico piacentino, 1952. Si dice che in Pievetta, meno di un secolo fa, alcuni vecchi parlavano una lingua diversa dagli altri paesi finitimi italiani: era era la lingua albanese, che si parlò senz’altro anche a Bosco Cusani e Bosco Tosca.

Verso l’anno 1680 vennero da Maina della Morea altri Albanesi e si stanzia­rono nell’antica città di Teste (per altri, Pleuti) fondandovi Chieuti. Questi erano gui­dati da due fratelli: Giorgio e Macario Sevastò, il primo monaco e l’altro laico. I ca­pitoli di fondazione di Chieuti riportano la data del 1680 e furono stesi con Mons. Ferdinando Apicella.

f. La sesta emigrazione ebbe luogo sotto Carlo III di Borbone, nel 1744. In quell’anno gli abitanti di Piqeras (Picherni), sotto la guida di tre papades albanesi, fug­girono dalla regione di Chimara (Albania meridionale) e vennero accolti dallo stesso Carlo III degli Abruzzi, in un feudo che si chiamava “Abbadessa”, venduto da Giovanni Tedesco alla casa Farnese e quindi passato in possesso dello stesso Re Carlo, per morte di Elisabetta sua madre. Oggi il paese si chiama Villa Badessa, è frazione di Rosciano e conta 637 abitanti, in provincia di Pescara. Conserva il rito bizantino ed è sotto lai giurisdizione del Vescovo di Lungro. La lingua è ancora parlata da qualche anziano.

g. La settima Il Dorsa e il Giustiniani parlano di una VII emigrazione verso la fi­ne del sec. XVIII (tra il 1759 ed il 1825), sotto il Regno di Ferdinando IV (Borbo­ne). Questi albanesi si stanziarono nella città di Brindisi, ricevendo come direttore un uomo dotto, chiamato Panajotis koklamani, conosciuto sotto il nome di “Fantasia”. Morto costui, non si seppe più nulla di quella colonia.

In tema di emigrazioni albanesi in Italia non va dimenticata la venuta dell’armata di quasi 5000 uomini, per trattati intercorsi tra il Re Ferdinando e la Repubbli­ca di Ragusa. Da questa città, attraverso la Dalmazia, gli Albanesi vennero in Italia attraversando l’Adriatico. Erano guidati dai capitani e custodi greci Caloiro Spiro e Giovanni Digione. Questi soldati prestarono servizio nell’esercito Borbonico, ma non lasciarono traccia alcuna di sè! Nello stesso secolo XVII alcuni gruppi di Albanesi delle montagne scutarine (Gheghi) si rifugiarono in Dalmazia, allora sotto il dominio della Repubblica di Venezia, fondandovi il villaggio di Borgo Erizzo; presso la città di Zara.

Non bisogna infine dimenticare che molti Albanesi, in varie epoche si stanziaro­no a Venezia; di essi, alcuni continuarono a dedicarsi al servizio delle armi, altri alla vita civile. Ma tutti non lasciarono altra traccia di sé che la fama di valorosi guerrieri oppure i loro cognomi, che ancor oggi si possono riscontrare dappertutto nel Veneto e in ogni parte d’Italia.

Papàs Emanuele Giordano

(estratto da Zëri i Arbëreshvet nr. 12 anno VIII – 1979, pagg. 20-24)

BIBLIOGRAFIA

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