“Spiritualità: Preghiera e festività”

Pregando ad ogni momento

L’Ufficio Divino è l’insieme delle preghiere che scandiscono il tempo e rispondono alle esortazioni rivolte da san Paolo agli Efesini: “Intrattenetevi a vicenda, con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore” (5,19) e “Prendete […] la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio, con ogni sorta di preghiere o di suppliche, pregando in spirito ad ogni momento” (6,18). Diversi particolari di questa esortazione danno indicazioni preziose sui contenuti e le esigenze di una preghiera gradita a Dio. L’adesione a Cristo e al suo messaggio di salvezza deve modificare l’orientamento della vita cristiana intera, mettendola tutta in relazione con il Signore.
Scopo immediato della preghiera è di rendere presente questa nostra relazione. Ogni attività umana si svolge in atti successivi che si unificano, edificando progressivamente uno stato abituale, talvolta attivo e cosciente, talvolta passivo, che Gesú stesso riassume con 1’immagine dell’inabitazione, quando dice ai suoi discepoli: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Il “pregate ad ogni momento” si realizza in vari modi, iscrivendo il nostro essere nell’andare del tempo.
In questo modo vi sono preghiere che illuminano momenti unici nella vita di ogni uomo, come la sua entrata nella Chiesa e il suo morire, il suo unirsi in matrimonio, oppure il rispondere a certe esigenze particolari, l’assumere iniziative e responsabilità, ecc.
Ce ne sono altre che si inseriscono nei cicli naturali del cosmo, come quelli dei giorni e delle notti, delle settimane o delle stagioni che si avvicendano, illuminandoli alla luce del Verbo di Dio venuto a rivelarci la vera vita. Si costruisce cosí una preghiera delle Ore, dei giorni, delle settimane, dei mesi e di tutto l’anno che rende presente Cristo e la sua opera salvifica in ogni momento dell’esistenza del cristiano sulla terra.

Il ciclo quotidiano

I primi versetti della Sacra Scrittura ci insegnano che all’inizio Dio creò il cielo e la terra. Vi si precisa che la terra era informe e deserta, fermandosi poi a descrivere gli interventi divini per ordinarla progressivamente verso la sua perfezione. I1 suo primo gesto fu di creare la luce, di separare la luce dalle tenebre, di chiamare la luce giorno e le tenebre notte, cosí da costituire il primo giorno (cf Gen 1,1-5).
La separazione tra luce e tenebre rimane immutata, come scrive il libro dell’Ecclesiaste: “La terra resta sempre la stessa, il sole sorge e il sole tramonta, si affretta verso il luogo da dove risorgerà” (1,4-5). In questo modo, il giorno costituisce la prima misura del tempo, lungo il quale la creazione geme e soffre come nelle doglie del parto, aspettando con impazienza la rivelazione dei figli di Dio (cf Rm 8,19-25). Pertanto i vari momenti della giornata sono i primi a dover essere santificati dalle Lodi Divine.
I momenti intermedi tra giorno e notte, quando il sole sta per sorgere o tramontare, erano particolarmente osservati sin dall’epoca di Mosè nei sacrifici offerti sull’altare, uno al mattino, l’altro alla sera (cf Es 29,38-39 e 30,7-8), tuttora ricordati nelle celebrazioni cristiane. La tradizione di tutte le Chiese considera sempre questi due momenti come il duplice cardine dell’Ufficio quotidiano (cf Sacrosanctum Concilium, 89). Assai ricche, eppure molto complesse, le loro celebrazioni si sviluppano attorno al tema della luce.

La preghiera mattutina

Il mattino compare per illuminare la giornata, come spiega Gesú stesso: “Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce” (Gv 11,9-10), ed aggiunge: “Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre” (Gv 12,35). Così la luce del giorno è simbolo del “Sole di giustizia” (Mal 3,20) che deve guidarci a compiere ogni giustizia lungo la giornata. Un versetto del profeta Isaia che torna spesso negli inni e nelle orazioni sacerdotali indica bene 1’orientamento specifico della preghiera di questa Ora: “Di notte il mio spirito veglia davanti a Te, o Dio, perché i tuoi comandamenti sono luce sulla terra, imparate la giustizia, abitanti della terra” (26,9-10, secondo la versione dei LXX). Lo stesso viene indicato anche dal lungo Salmo 118, che si legge particolarmente di sabato e di domenica, e canta le lodi della legge che ci insegna la giustizia del regno di Dio (cf Mt 6,33). Di notte si veglia davanti a Dio per meditare i comandamenti che debbono guidare 1’attività della nostra giornata. Questo impegno corrisponde a quanto comandato da Cristo ai suoi Apostoli prima di salire al cieli: “Ammaestrate tutte le nazioni…insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20).

La preghiera vespertina

Il tema della luce riappare alla celebrazione serale, ma la prospettiva è un pò diversa, perché si tratta della luce che tramonta. Particolarmente significativo il cantico di Simeone: “Ora lascia che il tuo servo vada in pace perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza” (Lc 2,29-30). Gli occhi di Simeone hanno visto la salvezza.
Lungo le loro giornate illuminate dalla presenza del Sole di giustizia, i cristiani contemplano la salvezza divina sempre all’opera nel mondo. Alla sera Gli rendono grazie e dopo possono andare in pace, protetti contro tutti pericoli della notte. Un altro inno celebre, citato da san Basilio già nel 375 e che risale alla fine del III secolo, acclama Gesú Cristo come “Luce gioiosa della gloria del Padre immortale” e Lo contempla come “luce vespertina uscita dopo la caduta del sole”. Come 1’inno di Simeone, quello della “Luce gioiosa” si iscrive in una doppia prospettiva: la fine della giornata immagine dell’entrata nelle tenebre dei pericoli e della morte, ma anche 1’inizio di una vita nuova illuminata dalla Risurrezione di Cristo.

Le Ore minori

Ognuna delle Ore minori corrisponde a situazioni particolari dei diversi momenti della giornata. Importante notare come queste situazioni umane attuali vengano messe in relazione con avvenimenti decisivi della storia della Salvezza, con la discesa dello Spirito santo il giorno della Pentecoste all’Ora Terza, con la Crocifissione di Cristo all’Ora Sesta e con la Sua morte all’Ora Nona. Queste ore ci introducono in un mondo nuovo, dandoci la forza di condurre una vita calma e pacifica, in ogni pietà e dedizione (cf 1 Tim 2,2) e rivelandoci sin da adesso un modo di vivere “celeste” (cf Fil 3,20).

Il ciclo settimanale

Il libro della Genesi ci narra la storia dei primi giorni del mondo, durante i quali il Creatore portò tutta la sua opera a compimento. Egli lavorò durante sei giorni e si riposò il settimo (Gen 1,2-4). Volle poi che questa dimensione settimanale fosse imitata dagli uomini. Diede 1’esempio del lavoro e lo concluse con il sabato, giorno di riposo dalle opere umane, consacrato al Signore (Es 35,2).
Il riposo sabbatico era il segno della Prima Alleanza. Quando poi rinnovò il mondo con la sua Risurrezione, il primo giorno dopo il sabato, la domenica o giorno del Signore diventa segno della Nuova Alleanza. È stato particolarmente celebrato sin dagli inizi della Chiesa (cf At 20,7 e Ap 1,9) ed è tuttora posto al centro della vita cristiana. Fedeli alle antiche tradizioni, le Lodi Divine bizantine ci ricordano l’insieme dell’opera della Salvezza, dall’inizio sino al suo culmine nella Risurrezione e nella Discesa dello Spirito Santo.

Il ciclo annuale

Le quattro stagioni che costituiscono l’anno solare e che si avvicendano continuamente sono un’altra misura basilare del tempo. Nel loro quadro, il popolo ebraico celebrava feste della Mietitura, delle Primizie e del Raccolto (cf Es 23,16), gemellandole ed interpretandole con il ricordo dei grandi avvenimenti della storia della Salvezza, particolarmente con la Pasqua e 1’uscita dalla terra d’Egitto. La Chiesa ha adoperato la stessa prassi.

La Pasqua

La Pasqua antica era preludio e figura di quella di Gesú che passa dalla morte alla vita, come viene narrato nei Vangeli (cf Mt 26,17-19; Mc 14,12-16, Lc 22,7-20; Gv 12,1;13,15; 19,14 e 31). La Chiesa ricorda il suo anniversario, celebrandola particolarmente durante tre giorni, ma allargandoli pure ad una intera “Settimana Grande” nella quale si ricordano gli avvenimenti che conducono all’arresto del Signore – dalla risurrezione di Lazzaro e dall’entrata in Gerusalemme sino al tradimento di Giuda e all’Ultima Cena. Assai presto è stata prolungata per 50 giorni propriamente festivi, portandola a pieno compimento con 1’effusione dello Spirito Santo il giorno della Pentecoste, e poi, successivamente, anche preceduta da una preparazione di 40 giorni o Quaresima, a carattere piú ascetico.

Le altre feste

La celebrazione della Pasqua ricorda la fine della vita terrena di Cristo. Si tratta del momento decisivo,1’ora per la quale è venuto il Figlio dell’uomo, nella quale sarà glorificato passando attraverso la morte (cf Gv 12,23-27), un momento tuttavia che è inscindibile dal suo contesto globale che ritroviamo sin dalla prima predicazione apostolica.
Cosí, ad esempio, lo presentava san Pietro agli uomini d Israele il giorno della Pentecoste: “Gesú di Nazaret, uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli; prodigi e segni, che Dio stesso fece tra di voi per opera sua, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e prescienza di Dio, voi 1’avete crocifisso…” (At 2,22-23). Questo stesso ricordo viene specificatamente e lungamente rammentato e conservato nei Vangeli.

Il Battesimo di Gesú

Tutti e quattro i vangeli narrano il Battesimo di Gesú, primo atto della sua vita pubblica o manifestazione agli uomini, gesto rituale anticipativo, portato a pieno compimento al momento della sua morte e della sua risurrezione (cf Lc 12,50 e Mc 10,38) e finalmente riattualizzato in chi viene battezzato in Lui (cf Rm 6,3-4). Come l’importanza di questo Battesimo di Cristo nel Giordano era stata sottolineata dalla tradizione apostolica, cosí lo fu nei periodi successivi e ben presto divenne anche occasione di celebrazione liturgica. Tale prassi assai solenne, fissata al 6 gennaio, è stata in vigore in tutte le Chiese orientali, e vi si conserva tuttora.

La Nascita e I’Infanzia di Cristo

I quattro Vangeli narrano la vita pubblica di Gesú Cristo fino al suo termine e alla sua Ascensione nei cieli. Tre vi premettono una introduzione. Giovanni, l’evangelista rappresentato come un aquila, scruta e riferisce i misteri della vita divina e contempla il Verbo di Dio, Luce venuta nel mondo. Matteo e Luca scrivono i cosiddetti Vangeli dell’Infanzia, riportandovi alcuni avvenimenti legati alla sua nascita, particolarmente significativi della sua missione nel mondo. I Padri li hanno esaminati, interpretati e presentati alla riflessione del popolo cristiano.
A partire dall’inizio del IV secolo, diventarono progressivamente oggetto di celebrazioni liturgiche specifiche. Vi si possono distinguere tre periodi: uno di preparazione, maggiormente centrato sull’Annunciazione, il secondo della Nascita stessa, celebrata il 25 dicembre, il terzo degli anni dell’Infanzia. Quello della preparazione è complesso: culmina nell’Annunciazione alla Vergine, ma comporta necessariamente tutta la storia anteriore fin dalla creazione, passando dalla Caduta originale per il lento cammino dell’Antica Alleanza.
L’insieme viene celebrato in due momenti: da una parte si moltiplica progressivamente dopo il 14 novembre, lungo le settimane che precedono il 25 dicembre, evocando particolarmente la memoria dei Padri giusti ed antenati di Cristo; dall’altra ricordando l’Annunciazione a Maria, successivamente fissata al 25 marzo.
Il periodo della Nascita dipende dai testi dei Vangeli che ricordano quattro particolari diversi.
Mt 1,18-25 racconta la nascita di Gesú a partire dal discorso dell’Angelo a Giuseppe, erede di Abramo e di Davide, annunciandogli la generazione in Maria dallo Spirito Santo, compimento della Profezia di Isaia: “La Vergine concepirà e partorirà un Figlio, il quale sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi”.
Mt 2,1-13 racconta la venuta dei Magi guidati dalla stella, le loro domande a Erode e l’indicazione scritturistica di Betlemme come “città dalla quale uscirà un capo che sarà pastore del popolo”, poi la loro adorazione.
Mt 2,13-26 racconta la fuga in Egitto e il Massacro degli Innocenti sempre a compimento di due profezie.
Lc 2,1-20 narra la Nascita a Betlemme in una mangiatoia, l’Apparizione e 1’Annuncio degli Angeli ai Pastori, l’ascolto dei Pastori e la loro venuta a Betlemme per trovare il Neonato.
La Festa maggiore relativa agli anni dell’Infanzia è quella della Presentazione di Gesú al Tempio ed il suo incontro con Simeone. Come indicato sopra, l’inno di Simeone (Lc 2,28-32) si recita alla fine dell’Ufficio Vespertino quotidiano, secondo una tradizione che risale almeno al III secolo ed acclama Cristo come Colui che compie le figure dell’Antico Testamento. Mosè ed Ezechiele contemplavano la Gloria divina che riempiva la Tenda del Convegno ed il Tempio (cf Es 40,34 e Ez 44,4): era 1’immagine della presenza di Dio. Incarnandosi, Gesú realizza la profezia: egli è la vera gloria che riempie il tempio, cioè l’espressione di tutte le attese di Israele. Egli viene ad abitare in mezzo a noi. E questa gloria supera i limiti del tempio. È gloria di Israele e rivelazione delle Genti: partendo dal ceppo d’Israele si rivela a tutti i popoli.

L’Annuncio della Buona Novella durante la vita pubblica

L’anno liturgico ricorda e fa rivivere 1’insieme della storia della Salvezza, anzitutto il suo nucleo, compiuto dalla persona del Figlio di Dio, descritta nei Vangeli. Come detto sopra, due momenti di questa storia vengono celebrati in un modo particolare nei cicli di Pasqua e di Natale perché ne ricordano le dimensioni principali. Corrispondono agli inizi e alla conclusione della vita pubblica di Cristo ed anche all’inizio e alla fine dei Vangeli.
È bene notare che i tre anni intermedi durante i quali Egli percorreva le strade per annunciare la Buona Novella vi sono pure presenti, anche se in maniera diversa. Innanzitutto li ritroviamo direttamente nella proclamazione dei libri del Nuovo Testamento, letti integralmente in modo continuo 1’uno dopo l’altro durante le celebrazioni eucaristiche, lungo tutti i giorni dell’anno. Le letture evangeliche, specialmente quelle scelte nelle domeniche, evocano l’attività di Cristo lungo i tre anni della sua vita pubblica, quando “Annunziava la Buona Novella ai poveri, restituiva la vista ai ciechi e predicava 1’anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19), quando sceglieva i suoi discepoli e incontrava 1’opposizione dei capi del popolo eletto.
Si ritrovano pure indirettamente inseriti nei numerosi inni che illustrano ogni celebrazione liturgica bizantina e specialmente quelle mattutine e vespertine. Il tessuto profondo, infatti, di queste composizioni liriche è di origine biblica. Utilizzano abbondantemente i testi tanto dell’Antico quanto del Nuovo Testamento, e piú particolarmente i detti e i gesti compiuti dal Signore lungo i suoi viaggi in Galilea e a Gerusalemme, mostrando la continuità profonda di tutta l’Economia della Salvezza.

Il ricordo dei Santi

I diversi cicli liturgici – quotidiano, settimanale ed annuale – ci fanno vivere la pienezza del Mistero della Salvezza tutta proveniente dalla persona di Gesú Cristo, Figlio di Dio divenuto uomo, morto e risorto per noi. Battezzati in Lui, ascoltiamo la sua Parola e mangiamo la sua Carne per avere la vita (Gv 6,5). Vivificati in Lui, ognuno di noi partecipa al mistero della salvezza e deve contribuire all’edificazione del suo Corpo mistico che è la Chiesa. Pertanto, celebrando questo mistero, non si può dimenticare quanti ci hanno preceduto nel lungo cammino verso la patria celeste. Molti sono nascosti, alcuni invece sono noti e rivelano come “Dio opera veramente meraviglie nei suoi Santi” (Sal 67,36).
Le Lodi Divine evocano frequentemente la loro memoria lungo le giornate, le settimane, i mesi e gli anni. Un culto del tutto speciale viene reso alla Madre di Dio ad ogni momento delle celebrazioni, perché è indissolubilmente legata al suo Figlio in un modo unico. Altri, come gli Angeli, Giovanni Battista, gli Apostoli e i Martiri, appaiono frequentemente nei cicli quotidiani e settimanali. Molti vengono ricordati il giorno anniversario della loro morte o di qualche avvenimento particolarmente importante. Tutti assieme sono celebrati la domenica che segue la Pentecoste.

Prendete la spada dello Spirito che è la parola di Dio

“Intrattenetevi fra voi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando al Signore con il vostro cuore… con ogni sorta di preghiere e suppliche” (Col 3,16). Il comandamento è di cantare al Signore, di mettersi davanti a Lui e di lodarlo.
Ci sono vari generi di preghiere: composizioni liriche come i salmi vete-rotestamentari o inni piú recenti, orazioni sacerdotali o diaconali, letture ecc. Sono gesti esteriori che devono essere vivificati dall’interno e Paolo precisa le regole da seguire affinché il nostro cantare riesca gradito al Signore. Prima di tutto, deve uscire dal cuore, cioè dal centro che unifica tutta la persona umana. Poi deve esprimere tutti i sentimenti che animano lo spirito degli uomini in cammino verso la patria celeste: quelli di lode per le meraviglie divine, di azione di grazie per le sue incessanti e incomprensibili opere che ci guidano verso il Regno dei cieli, di supplica affinché ci protegga dalle nostre necessità. L’Apostolo ci indica pure un’altra norma fondamentale: nella preghiera dobbiamo usare la “spada dello Spirito”. Questa formula evoca altri insegnamenti dell’Apostolo: “I segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio” (l Cor 2,11) e “non sappiamo come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26).
La preghiera buona è quella insegnata non dalla carne o dal sangue, cioè da mente umana, ma dal Padre che è nei cieli (cf Mt 16,17 e Gv 1,13). Nella stessa lettera ai Corinti, Paolo precisa poi la natura di questa “spada dello Spirito”. Non è un semplice sentimento, possiede un contenuto ben preciso: “è la Parola di Dio”. E questo corrisponde a ciò che Gesú prometteva ai suoi Discepoli: “Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26).
Base primordiale della preghiera è la parola di Dio indirizzata a noi, la Buona Novella annunziata agli uomini. Questa parola si identifica con la persona del Verbo incarnato il quale è vissuto tra gli uomini ed è stato profeta potente in opere e parole (cf Lc 24,19). Gli Apostoli sono divenuti i suoi testimoni e Lo hanno predicato. Questo loro insegnamento è stato riportato in modo particolare nelle Scritture, ricevuto dai nostri Padri, compreso, interpretato e vissuto nelle Chiese.
Il principio della primordialità della Parola di Dio viene ribadito in varie preghiere liturgiche, sia quando specificano che il compito più importante dell’Ordine sacerdotale è di annunziare e di amministrare la Parola della Verità (cf preghiere di ordinazione sacerdotale oppure le Anafore di Crisostomo e di Basilio), sia quando la preghiera della terza Antifona della Divina Liturgia precisa che la cosa utile da domandare al Signore per il popolo è “la conoscenza della sua verità”, cioè la sua parola salvifica che non inganna.

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