La nostra Storia

Origini di Acquaformosa

                                            Gli albanesi in terra di Calabria

Gli albanesi, fuggiti dal proprio suolo, qui non poterono portare che la semplice spada! Quindi senza denaro, senza protezione, e senza incoraggiamento, come potevano coltivare i terreni, abbracciare le arti?
Questa domanda si poneva nel secolo scorso Angelo Masci. Ed infatti gli esuli arrecarono non pochi problemi di ordine pubblico ai governanti di quel tempo.
La questione posta dal Masci era un tentativo di confutare le posizioni di chi considerava gli albanesi gente d’armi, refrattari ad ogni imposizione, alla ricerca della libertà ad ogni costo, anarchici talvolta. In battaglia, come si è visto, l’albanese non aveva rivali, lo storico Baldacci riprendendo un testo del 1308 così fotografava la gente albanese: “L’Albania ha uomini bellicosi, sono infatti ottimi cavalieri e lancieri. Hanno gli occhi con una pupilla che gli consente di veder meglio la notte che il giorno”. Questa reputazione gli albanesi la portarono anche nel Regno di Napoli. Carlo Maria Occaso nel secolo scorso così descriveva gli albanesi stanziatisi in terra di Calabria: “Semi-barbari, cattivi agricoltori, con linguaggio diverso, tenacissimi dei loro riti e costumi, non poterono affratellarsi con gli altri antichi abitanti, e spesso fra individui e individui delle diverse nazioni sorgevano sanguinarie risse. Non conoscevano differenze di ceti, e tutti raccolti in tuguri di paglia esercitavano la pastorizia. Bentosto si diedero al ladroneggio e, disertando le campagne e aggredendo le persone, si resero un vero flagello, talchè si vide il bisogno di implorare soccorso dalle autorità superiori”. Infatti nel 1509 la città di Cosenza scrisse ad Ugo Moncada, governatore della Calabria e luogotenente del re Cattolico, una lettera dal tono seguente: “Li albanesi greci et schiavoni quali habitano per li burghi, casali et lochi aperti del regno fanno molti furti e arrobi V.S.I. provveda, che tutti intrino ad habitare dentro le terre murate e per nullo tempo possano habitare fora d’esse terre”.
L’amministrazione vicereale fu inflessibile, non consentì che gli albanesi facessero vita nomade e intimò loro di ritirarsi in terre murate. Per reprimere poi il brigantaggio da essi praticato, nel 1564 decretò che nessun albanese potesse andar a cavallo con selle, briglia, speroni e staffe, nè che potesse portare armi, sotto la pena di cinque anni di galera. Altri bandi vietarono agli albanesi anche di potersi recare nelle città con i loro cappelli tradizionali. Queste misure restrittive da un lato arginarono i fenomeni di brigantaggio, di cui si erano resi colpevoli gli albanesi, dall’altro crearono delle isole razziali impermeabili alle influenze esterne. In questo modo gli albanesi mantennero i loro usi, i loro costumi, la loro lingua, il loro rito fino ad oggi.

Acquaformosa

In questo contesto accaddero quegli avvenimenti che portarono alla fondazione di Acquaformosa. Per la mancanza di dati sicuri, non è possibile fissare con certezza l’anno in cui gli albanesi lasciarono la loro patria e una volta approdati sulle coste del Regno di Napoli, si stanziarono definitivamente nei territori dove successivamente hanno fondato i loro casali.
Anche per le prime vicende dei fondatori di Acquaformosa la storia ha subìto la stessa sorte. La prima prova, che in modo inequivocabile attesta la presenza degli albanesi nel territorio di Acquaformosa, è il documento “Capitolazioni degli albanesi di Acquaformosa col Monastero di Santa Maria” conservato nell’Archivio Vaticano nel codice Vaticano Latino n. 14.386 f 9 ss.
Correva l’anno del Signore 1501 quando alcuni albanesi con a capo Pellegrino Capparello, e l’abate commendatario del Monastero di Santa Maria di Acquaformosa firmarono l’atto costitutivo della nuova comunità e, nello stesso tempo, la fonte delle norme regolatrici dei rapporti tra gli albanesi e il monastero. Dunque il 1501 è la prima data certa della presenza degli albanesi nel territorio badiale, ma quando arrivarono effettivamente in quelle terre non è dato sapere. Il Tajani ed altri storici fanno risalire la partenza dalla loro terra degli albanesi, che poi s’insediarono ad Acquaformosa, tra il 1476 e il 1478, è una data probabile ma non certa. Nessuno azzarda una data per quanto riguarda l’arrivo degli albanesi nei territori del monastero. E’ presumibile che tra la data di stanziamento e le “Capitolazioni” sia trascorso solo il breve tempo necessario ai monaci per conoscere i nuovi ospiti e agli albanesi per conoscere la lingua italiana volgare che si è impiegata nella stesura del documento.
Poco si sa degli albanesi che furono i primi abitanti di Acquaformosa: indirettamente si può dedurre che tra di essi ci fosse un sacerdote. Infatti appartenevano alla Chiesa parrocchiale di Acquaformosa 8 codici greci che oggi sono custoditi nel Monastero di Grottaferrata. Si tratta di libri liturgici in uso nella Chiesa Matrice di Acquaformosa. Di questi otto codici sei sono stati copiati in Italia, mentre i primi due, afferma Mons. Francesco Bugliari, è probabile che siano stati copiati in Oriente e, precisamente nell’Epiro. Da qui portati in Italia dai profughi albanesi.
Michele Zenempisa era il sacerdote che officiava utilizzando quei codici, sia in Albania che, successivamente, in Acquaformosa. Durante una visita pastorale il vescovo Francesco Bugliari, notando questi codici e anche il resto dell’ufficiatura greca manoscritta nella Chiesa parrocchiale di Acquaformosa chiese all’allora arciprete di trasferirli tutti al Collegio greco di San Demetrio Corone, ritenuto più idoneo per custodire tali antichità. Il clero di Acquaformosa non ha avuto nessuna difficoltà ad aderire a tale richiesta. Era il 28 ottobre 1793. Ai margini di un foglio del codice, contrassegnato dal numero 272, si legge: l’Arciprete e il clero di Acquaformosa donano al Collegio questo e tutti gli altri libri corali.

Il casale di Galatro

Gli albanesi non furono i primi abitanti dei territori contigui al monastero di Acquaformosa. Secondo lo storico Zangari vicino al Monastero di santa Maria c’era il “diruto casale di Galatro”, di cui non dubbie testimonianze esistono nei registri di
Carlo D’Angiò, del 1278, e di Carlo II d’Angiò del 1302.
In particolare con il documento del 1302, riportato dal Russo nella Storia della diocesi di Cassano, il cui originale è andato distrutto, il Re Carlo II D’Angiò esentava per un quinquennio dal pagamento delle gabelle gli abitanti di Galatro, che intendevano ritornare ad abitare quel casale, abbandonato a causa della guerra e spettante ai cistercensi di Acquaformosa.

Le capitolazioni

Nell’anno del Signore 1501 [….] innanzi al reverendo abate Carlo De Ciioffis perpetuo Commendatore del Venerabile Monastero di Santa Maria di Acquaformosa, sonno comparsi certi albanesi, li quali si chiamano Piligrino Caparello, Giorgi Curtise, Martino Caparello e più altri albanesi, quali donano supplicazione a detto M(esser) Abbate li voglia lassare edificare uno casale dentro lo territorio de detto Monasterio, et intendendo questo lo predetto M(esser) Abbate, have chiamato tutti li monaci sonno in ditto Monastero, et fatto Capitolo, et havuto fra loro maturo e sano consiglio, have parso a detto M(esser) Abbate, et Capitulo volerce lassare habbitare, et far detto Casale, attendo chè ne risulta più presto grande utilità al detto Monastero, che dannu nesciunu per li quali Albanisi havendo tal risposta dallu predetto M(esser) Abbate et Capitulo, che possono edificare detto Casale haveno promesso per ciascheduno annu al detto M(esser) Abbate, et suo Monasterio, le sottoscritte cu promessione, et ditto M(esser) Abbate, et Capitulo, li haveno concessi li subscritti Capituli, et Gratiae alli detti Albanisi, li quali promissioni di detti Albanisi sono l’infrascritti.

Questo documento è stato vergato per mano di Cola di Natale di Maratea, abitante in Altomonte, per mancanza di notaio. L’intervento del notaio Nicola de Madio di Altomonte ci fu solo nel 1506 quando il 22 ottobre la Capitolazione fu depositata fra i suoi atti pubblici. Le norme contenute nella Capitolazione sono 26 ed hanno varia natura giuridica.
Da Arioso

Ad Acquaformosa il primo luogo dove gli albanesi edificarono il loro casale fu la località chiamata “Arioso”. Ma il luogo prescelto, che oggi segna il confine tra i territori di Acquaformosa ed Altomonte, fu ben presto abbandonato; gli albanesi si spostarono e costruirono le loro abitazioni più vicino al Monastero. Verosimilmente le prime abitazioni furono costruite a ridosso del primo oratorio degli albanesi di Acquaformosa, la Chiesa della Concezione, edificata sin dai primissimi anni del 1500.
I motivi che spinsero i primi abitanti di Acquaformosa a spostarsi da Arioso non sono certi, le ipotesi avanzate sono due. La prima giustifica lo spostamento a causa dei numerosi serpenti che infestavano quella zona; la seconda lo giustifica per le difficoltà di approvvigionamento dell’acqua. Lo spostamento in tutti i casi fu repentino, dato che già nel 1505 era in costruzione la Chiesa Matrice di San Giovanni Battista nel luogo dove tutt’oggi è ubicata. [DR1] In un primo tempo l’aggregato urbano di Acquaformosa era così ristretto da non essere considerato neppure casale di Altomonte. Solo dagli scritti del giureconsulto Giovanni Paolo Galterio, riguardanti gli statuti di Altomonte del dì 15 agosto 1602, viene nominato il casale di Acquaformosa, insieme a quelli di Lungro e di Firmo, come casali di Altomonte.

Il toponimo
Il nome di Acquaformosa è precedente all’insediamento albanese. Esso è da attribuire al monastero fondato nel 1195. Ciò permette di escludere che il nome sia derivato da un’esclamazione che Irina Scanderbeg fece allorchè bevve ad una fonte vicina al Monastero. Verò è che quella fonte ancora oggi conserva il nome di “Fonte della principessa”. Dai dati precedenti si rileva che Irina è vissuta nel XVI secolo, quando il nome di Acquaformosa esisteva già. É probabile che, cambiando i protagonisti, la vicenda che attribuisce il nome sia la stessa: la bontà e la purezza delle acque che qui scorrevano.

Fuochi e popolazione

Fino al 1815 i censimenti della popolazione non si facevano per abitanti, ma per fuochi.
Col termine fuoco, sia nel lessico letterario, sia in quello giuridico, si indicava la famiglia. Convenzionalmente ogni fuoco, quindi ogni famiglia, veniva considerata composta da 5 persone. Gli abitanti di Acquaformosa nel 1501 erano pochi.
Il De Marchis tra i documenti dei primi anni dell’insediamento contò 22 nomi, ma non riuscì a stabilire se tutti fossero dei capi famiglia, se così fosse nel 1501 il Casale di Ariosa aveva 22 fuochi.
Il regio Numeratore il 1° aprile 1543 contò 43 fuochi, per un numero approssimativo di abitanti di 135 unità. Nel 1595 i fuochi erano aumentati di poco, si contavano solo 45. Nel 1669 i fuochi censiti erano 102, per un numero di abitanti vicino alle 510 unità. Nel 1741 i fuochi erano 105, nel 1797 si contavano in numero di 124, nel 1806 i fuochi erano 200. Nel 1816 gli abitanti erano 1237, se ne contavano 1361 nel 1846. Con il 1861 iniziano i primi dati statistici del regno d’Italia. Acquaformosa in quella data contava 1661 anime di cui 835 maschi e 826 femmine. Il censimento del 1901 registrò 1562 abitanti residenti e 4 non residenti, gli abitanti erano 1812 nel 1951, 1773 nel 1967, 1379 nel 1996.

CAPITOLAZIONI: DOCUMENTO

CAPTOLAZIONI DEGLI ALBANESI DI ACQUAFORMOSA
COL MONASTERO DI S. MARIA.

Sub anno Domini 1501 Regnante in Nobis in hoc Regno Siciliae Citra Farum Rege, et Regina Ispaniae etcetera. Innante dello reverendo Abbate Carlo De Cioffis perpetuo Commendatore dello Venerabile Monastero de S. Maria de Acqua Formosa, sonno comparsi certi Albanesi,1i quali si chiamano Piligrino Caparello, Giorgi Curtise, Martino Caparello, et più altri albanesi, quali donano supplicazione a detto M (esserj Abbate li voglia lassare edificare uno casale dentro lo territono de detto Monasterio, et intendendo questo 1o predetto M. Abbate, have chiamato tutti li Monaci sonno in ditto Monastero, et Fatto Capitolo, et havuto fra loro maturo et sano consiglio, have parso a detto M. Abbate. et Capitulo volerce lassare habbitare, et far detto Casale, attendo ché ne risulta più presto grande utilità a1 detto Monastero, che dannu nesciunu pe li quali Albanisi havendo tal risposta dallu predetto M. Abbate et Capitulo. che possono edificare detto Casale haveno promesso per ciascheduno annu al detto M. Abbate. et suo Monasterio, le sottoscritte cu promessione. et ditto M. Abbate, et Capitulo, li haveno concessi li subscritti Capituli, et Gratie alli detti Albanisi, li quali promissioni di detti Albanisi sono 1’infrascritti.
Videlicet:
“1° In primis detti Albanesi promettino edificare et construire detto Casali, et abitare dintro lo territorio di detto Monasterio in loco dovi si chiama Arioso.
2° Item detti Albanesi promettino al detto M. Abate, et suo Monasterio pagare di casalinaggio per ciascheduno pagliaro per ciascheduno anno tarì uno, e grana cinque in dinare.
3° Item detti Albanesi promettino allo predetto M. Abbate ed suo Monasterio di pagare la decima di tutti animali minuti per ciascuno anno nel mese di agusto delli allevi si faranno come son pecore, capri, porci, et non ascendendo alla somma di dieci debano pagare un grano per testa.
4° Item detti Albanesi promettino allo predetto M. Abbate ed suo Monasterio di pagare per ciaschedun anno una gallina per pagliaro che habiterà in detto Casale.
5° Item detti Albanesi promettino allo predetto M. Abbate ed suo Monasterio pagare per ciaschedun vitello, o vitella nascirà quello anno nel mese di agusto grana dieci.
6° Item detti Albanesi promettino allo predetto M. Abbate ed suo Monasterio quando è la festa de S. Maria Benedetta de la mità de agusto siano tenuti de venire ad aiutare in detto Monasterio, et in ogni altra cosa avesse bisogno detto Monasterio.
7° Item detti Albanesi promettino allo predetto M. Abbate ed suo Monasterio di pagare ciascheduno anno nel mese di agusto docati dui per le cerze di S. Maria di Lanzo, et che nulla persona, nè Albanesi, nè altri di ditto Casali nè possa tagliare nè parramare quanto fossi una rame, et facendo il contrario incorre alla pena di carlini quindici, et cossì chi tagliasse e perramasse nella difesa di detto M. Abbate.
8° Item detti Albanesi promettino allo predetto M. Abbate ed suo Monasterio di donare per ciaschedun anno una giornata per paricchio di bovi ad ogni requesta delli ministri di esso M. Abbate et quando fosse alcuno di detti Albanesi requesto per tal giornata, et non possendo venire quello giorno habbia tempo venire otto giorni, e se intende che se uno albanese haverrà più paricchi, una giornata, et non più, et chi haverrà uno bove se potrà acochyare cò un altro. Ma le bacche nò siano tenute.
9° Item detti Albanesi promettino allo predetto M. Abbate ed suo Monasterio di pagare nel mese di agusto per ciascheduna tumulata di terra per fare vigne grana sette e mezzo, et che lo detto M. Abbate non possa accrescere detto censo per qualsivoglia cagione per lo avvenire.
10° Item detti Albanesi promettino allo predetto M. Abbate fra termino di doi anni fabbricare case, et far paglaire per loro habitazione, et bestiame, per le quali non le sia dato fastidio nè domandato pagamento alcuno, eccetto che il pagamento, et la decima del casalinaggio sopradetto, et la decima per lo bestiame.
11° Item che detti Albanesi possano scommettere le castagne giusta la via che va all’Ungro, et viene all’Abbatia, il dì di tutti i Santi, e li cerasi della via che va allo Palcone de retro lo Spitali, et esci allo limiti grande, dond’è la pera moscarella, et corrisponde allo ormo russo sopra parte il dì de Natale, et volendo detti Albanisi per servitia del casali delli castagni, et cerase pascolarvi a loro modo dal dì della strigula, quando si serra la difesa, siano tenuti pagare docati dieci, et esso M. Abbate non possa alterare detto prezzo delli Docati dieci.
12° Item il predetto Messer Abbate et suo Capitulo concede per demanio alli predetti Albanesi dalla strada che veni dallo molino et viene all’acqua della castagna, et intorno la chiusura dello piano et per lo molinello, sipala sipala, et esci allo vallone di retro lo Spitali valloni valloni et corrisponde alla strada che anda all’Ungro, e che li procuratori non posson fidare a detto demanio di nisciuno tempo.
13° Item lo predetto Messer Abbate et suo Monasterio promettino alli detti Albanisi di detto Casale tutte terre che sonno al distretto di detta Abbatia, et dentro al distretto di Altomonte, che si possono far massarie et de tutti grani, orgi, favi, lino, cannavo, ed ogni altro vittovaglio se faranno, in detta terra dello Monastero, non possono andare detti Albanesi ad altre terre obbligandosi ad pagare la decima d’onni cosa.
14° Item supplicano detti Albanesi allo predetto M. Abbate che di grazia li voglia concedere che quando li bovi, bacche, giumente, somare fossero accusate per lo danno avessero fatto non habbiano a pagare per ciascheduna bestia grossa di pena se non gr. 3 et de bestie minute come son capri, pecore, et porci non habbiano a pagare se non grano uno per bestie minute.
15° Item petino detti Albanesi del predetto M. Abbate che de già li voglia concedere che tutti accuse li fussero fatte che quello che accusa volendosi pentire tre dì dopo fatto detta accusa, detta penitenza le sia ammessa, e che non possa più procedere sopra tale accusa, ma non di danno data, et che non si possa componere in cosa alcuna senza intervento del Sindaco et delli eletti di detto Casale, et che lo Capitano non possa esercitare l’offizio se prima non dona plegiaria di star a sindacato, e che lo Capitano di quell’anno non possa far l’Ufficio per l’annata venire.
16° Item petino detti Albanesi dal predetto M. Abbate che di grazia li voglia concedere che de tutti accusi li fossero fatti non abbiano da pagare, eccetto grano uno per ciascuna cassatura, et che possano andare in comune alle cerze di sotto lo mulinello della vigna sotto la fontana.
17° Item petino detti Albanesi del predetto M. Abbate che di gratia li voglia concedere che quando detti Albanesi sono comandati tanto personali, come cò loro bestie per andare per servizio di detto M. Abbate, et soi ministri pernottando li voglia far pagare cossì come si paga per lo contorno, seu convicino.
18° Item petino detti Albanesi del predetto M. Abbate che di gratia li voglia concedere che accadendo lo loro bestiame facessero danno in alcuno luogo, che detto bestiame non possa essere ammazzato, si non esser tenuto allo danno et alla pena essendo accusati. Ma quando avrà fatto buttar banno che ognuno metta lo manfone alli porci trovandosi senza mangone lo possa ammazzare, portando lo quarto alla Chiesia.
19° Item petino detti Albanesi li voglia concedere in gratia che alcuni Albanesi si volessi parire da detto Casali si poi si possa vendere li majise, vigna, et arbore fruttanti, ovvero casa fabbricata de calce, et arena senza altro impedimento.
20° Item petino detti Albanesi che di gratia li voglia concedere che lo Camberlingo di detto Casale per quell’anno è nell’uffizio sia franco de casalinaggio, et de metitura et lo Sindaco, et baglivo siano franchi di casalinaggi, et altre cose pagar come pagano le altri.
21° Item petino detti Albanesi del detto M. Abbate che di gratia li voglia concedere che tutti li prejiti di detto Casali siano franchi de casalinaggi, di decime di tomolate cinq. Di terra, dieci crapetti, dieci ajini, et dieci porcelli per uno, et de una vitella. Li altre cose pagano.
22° Item petino detti Albanesi del preditto M. Abbate che di gratia li voglia concedere che possano trasiri loro bestiami di qualsivoglia generatione dentro la difesa de lo cerzito de Santo Antonj di genaro havanti, et fino ad Santo Antonio della Strigula di ottobre.
23° Item petino detti Albanesi del preditto M. Abbate che non possa esigere nè far esigere da albanesi habbitanti et commoranti in detto Casali che cò loro bestiame danni facessero la defesa dello cerzito dell’Abbatia, cioè dalla strada ad alto da Santo Antonio di ottobre per fino a S.to Antonio di gennario più che carlini 15 di pena per ciascheduno padrone di bestiame per ogni volta che si troveranno in detta difesa et fandose carnaggio di bestiame piccole non sia tenuto ad altra pena si non allo carnaggio da farsi uno per murra et non più.
24° Item detto M. Abbate et Convento volino che detto casale non possa mandar lo bestiame loro di nisciuna sciorte a pascire in lo piano che sta avante a lo Monasterio videlicet dallo vallone che sta da reto lo Spitale insino allo vallone che va all’acqua allo molinello dall’altra banda, lo Monastero dalla parte di tramontana, dall’acqua che va pure allo molinello de nullo tempo, eccetto quando se cognoscesse alcuno bestiame domiti grossi, come sono bovi domati, giomenti, o somari accaduto distrusamento, et quando si cognoscesse esser fatto con fronde debbiano incorrere alla pena di la difesa di sopra via quando se guarda.
25° Item petino detti Albanesi del detto M. Abbate che di gratia li voglia concedere che possano tagliare ligname morta de ogni tempo per tutta la difesa senza incorrere a pena alcuna, et per uso de casa se possano tagliare in detta difesa ligname virda con licenzia di detto M. Abbate e suoi ministri.
26° Item che non possano venire ad habitare in detto Casali persona alcuna se pria non ne darà notizia ad esso M. Abbate, et al Sindaco, ed eletti dello stesso Casali, anzi si possano informare di la qualità, et essere di quel tale et essendo homo di mala vita, et qualità essi albanesi possono recusari di non farlo habitare, atteso non succedano scandali in detto Casali et habitati da persone quiete non delinquenti et scandalosi, et che nullo citatino, nè forastiero si possano levar le terre l’uno coll’altro, a ciò nò ce occorre alcuno scandalo, ma che ognuno habbia le terre have aperte, et massime dove sono fatte cesine. Et perchè de li sopradetti capitoli se ne contenta tanto lo predetto M. Abbate e il Convento quanto li Albanesi di detto Casali ne hanno fatto la presente scrittura per mano di Cola di Natale di Maratea habbitante in Altomonte per difetto di notaro, et volino tanto l’una parte, come l’altra, vaglia per pubblico instrumento, et per cautela di esso M. Abbate et Convento et di essi Albanesi, et subscripta di mano di esso Messer Abbate Carlo manu propria”. I primi albanesi che si presentarono all’abate erano Pelegrino Caparello, Giorgio Curtise e Martino Caparello.

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